Per saperne di più

La migrazione e l’accoglienza sono temi scottanti, spigolosi, attuali, ma per poterne parlare bisogna sapere di cosa si tratta. In questa sezione cerchiamo di approfondire alcuni dei temi più attuali, sperando di offrire un servizio utile.

I 35 euro al giorno

Questa è la cifra (massima) per finanziare i progetti di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati. 35 euro al giorno per ogni persona accolta. I fondi però NON vengono dati direttamente alle persone accolte, ma sono dati agli enti gestori che li amministrano ed erogano ai beneficiari del progetto una parte estremamente minoritaria di questa quota: le persone accolte nei progetti della Diaconia Valdese ricevono, come da regolamento SPRAR, 2,5 euro al giorno di pocket money, che corrisponde a circa 75 euro al mese. Avendo deciso di evitare, dove possibile, la mensa per mangiare, ricevono anche 4,5 euro al giorno per il vitto. Il resto dei fondi, corrispondente a 28 euro al giorno dei fondi viene utilizzato dalla Diaconia per le varie spese di alloggio, riscaldamento, trasporto, spese mediche e di integrazione e per pagare il personale specializzato impiegato dai progetti stessi, che nella maggior parte dei casi under 30.

Il finanziamento ai progetti di accoglienza è un sistema che può rivitalizzare le realtà depresse e periferiche del nostro paese garantendo posti di lavoro per i giovani che altrimenti avrebbero dovuto scegliere la strada dell’emigrazione, e portando nuovi potenziali clienti a negozi e strutture ricettive dei territori dove si svolgono le accoglienze, oltre che lavoro per tutte quelle attività, servizi e fornitori legati alle attività del progetto di accoglienza. Dagli alimentari, ai negozi di biancheria, dai negozi di vestiti ai casalinghi di grandi e piccoli elettrodomestici. L’aumento della spesa pubblica per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati ricade nella maggior parte sui territori italiani, finanziando lavoratori e imprese italiane.

Tagliare i costi dell’accoglienza significa quindi tagliare fondi che arrivano nelle casse e nelle case dei territori che ospitano progetti di accoglienza, mentre il contributo di 2,50 e 4,50 che viene dato a stranieri rimane sostanzialmente invariato.

L’accoglienza in Italia è finanziata dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo FNPSA (Ministero dell’Interno) nel quale confluiscono i finanziamenti del fondo europeo per i rifugiati.

Il Fondo Asilo e Migrazione (AMF) dell’Unione Europea

Negli ultimi decenni il fenomeno della migrazione sia verso che dall’Unione Europea è drammaticamente aumentato. Anche il numero di richiedenti asilo che cercano rifugio in Europa è significativamente cresciuto. Questi cambiamenti nelle dinamiche migratorie stanno comportando nuove sfide per tutta l’Unione Europea, che ha varato nuove leggi e istituito nuovi fondi per meglio gestire le problematiche legate a questo tema. Il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione 2014-2020 (AMF), istituito dall’Unione Europea, è nato proprio per poter dare una migliore risposta ai flussi migratori che attraversano gli Stati membri dell’UE.

La gestione dei flussi migratori e delle richieste di asilo sono un ambito di intervento la cui titolarità è rimasta in capo ai singoli Stati membri. Tuttavia, a seguito degli sviluppi storici degli ultimi anni e della libertà di circolazione delle persone attraverso l’Unione Europea, si è resa necessaria l’adozione di una politica unitaria a livello europeo su questi temi. Un passo avanti significativo in questo senso è rappresentato dal “Sistema Comune Europeo di Asilo” (CEAS), che raccoglie gli atti emanati negli ultimi anni dall’Unione Europea sui temi delle migrazioni e dell’asilo e che cerca di fare sì che ciascun Stato membro porti avanti una politica legislativa di respiro europeo anche in questi ambiti.

Le modifiche al Trattato sull’Unione Europea apportate con il Trattato di Lisbona del 2009 hanno conferito all’UE l’autorità legale di avviare una politica comune riguardo ai temi dell’asilo, delle migrazioni e del controllo delle frontiere. L’obiettivo è fare sì che tutti gli Stati membri condividano una medesima linea politica in merito a queste tematiche, valida in tutta l’area dell’Unione Europea per tutti i cittadini non UE.

Gli Obiettivi del Fondo Asilo e Migrazione

Obiettivo principale dell’AMF è creare una gestione efficace dei flussi migratori sia verso che dall’Unione Europea. A tal fine, il fondo è volto a:

• Rafforzare il “Sistema Comune Europeo di Asilo”: il fondo finanzierà progetti volti al monitoraggio del CEAS e alla verifica che in tutti gli Stati membri vengano condivise e implementate leggi efficienti e uniformi in merito al tema delle migrazioni e dell’asilo.

• Supportare la migrazione legale e l’integrazione: il fondo consentirà l’avvio e l’implementazione di progetti di integrazione sociale e di supporto della migrazione legale. In particolare, verranno sostenuti progetti volti a sostenere la partecipazione di cittadini di Paesi terzi ai processi di occupazione, istruzione e democrazia in tutto il territorio dell’Unione.

• Promuovere strategie di rimpatrio per migranti irregolari/illegali: il fondo sosterrà progetti di rimpatrio volontario, prestando particolare attenzione a iniziative di reintegro nella realtà di provenienza.

• Aumentare la solidarietà e la condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri: il fondo sosterrà politiche di ricollocazione di migranti e richiedenti asilo sul territorio dell’Unione Europea, onde evitare che il peso dell’accoglienza ricada maggiormente su alcuni Stati membri.

Testo tratto dal documento “AMF: THE ASYLUM MIGRATION AND INTEGRATION FUND 2014-2020: BRIEFING FOR MEMBERS”, redatto dalla federazione internazionale delle Diaconie Europee “Eurodiaconia” il 16/05/2014.

In Italia è in corso un'invasione di stranieri

L’inserimento abitativo è uno dei pilastri della filosofia di accoglienza che si basa su un’accoglienza diffusa sul territorio e divisa in piccoli appartamenti di cui le persone accolte sono responsabili in ogni suo aspetto, dalla pulizia alla manutenzione, dai rapporti coi vicini alla raccolta differenziata, dal controllo dei consumi alla gestione delle aree comuni. Non sempre è possibile accogliere le persone in appartamenti, ma la soluzione di centri accoglienza medio/grossi viene applicata sono e soltanto se non ci sono alternative.

La Diaconia ritiene che il modello di accoglienza diffusa sia il miglior modo per i progetti di accoglienza per lavorare in sinergia con il territorio, utilizzando i servizi e le risorse che offre e mettendo a disposizione le capacità e competenze delle persone accolte che contribuiscono alla vita comunitaria nei modi e tempi che ritengono opportuni come fanno anche tutti gli altri cittadini del territorio. Dalla responsabilità della casa nasce anche una responsabilità sull’organizzazione dello spazio e del tempo di vita: nei centri di accoglienza con mense e orari fissati per le attività, le persone accolte non sono in capo alla propria organizzazione, ma subiscono un’agenda settimanale che mina il percorso di autonomia a cui puntano i progetti di accoglienza. Essere responsabili della propria casa e della propria agenda è quindi il primo passo verso un percorso di autonomia che ha nella mobilità sul territorio del beneficiario un punto importante. Saranno le persone accolte a muoversi e andare attivamente verso i servizi, mentre i centri di accoglienza tendono ad accentrare i servizi e portarli verso le persone accolte rischiando quindi di produrre percorsi di accudimento e assistenza anzichè percorsi di accoglienza e integrazione.

L’accoglienza diffusa è poi il modello migliore per creare un legame e una conoscenza diretta tra le persone accolte e le persone che vivono vicino nell’ottica di stimolare una cittadinanza attiva e una conoscenza personale reciproca.

I migranti sono terroristi e criminali

Sul dossier 10 cose da sapere su migranti e immigrazione a cura dell’Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale della Caritas Italiana leggiamo: “Secondo i dati forniti dal Global Terrorism Database e studiati dalla ricercatrice italiana Belgioioso, il 62,25% degli attentati in Europa viene compiuto da organizzazioni europee, (gruppi di estrema destra e sinistra e gruppi anarchici, separatisti e animalisti). Il 15% circa, poi, sono perpetrati da movimenti antiimmigrati, il 4,08% da gruppi anti-Islam e il 3,89% da gruppi jihadisti. Per il 14,0% circa degli attentati non si è riusciti a individuare i responsabili. Dunque il reale impatto di organizzazioni terroristiche di matrice islamica non è tanto nei numeri ma nella letalità degli attacchi compiuti. […] Anche i numeri relativi ai soggetti direttamente responsabili degli attacchi terroristici nell’Unione Europea non riescono a suffragare la tesi che tutti i terroristi siano immigrati stranieri. Infatti solamente il 6% degli attentati è stato compiuto da cittadini non europei, divisi tra migranti irregolari (2,64%), migranti regolari (2,64%) e soggetti con doppia cittadinanza (0,66%). Il restante 94% degli attentati è stato compiuto da cittadini europei nati in Unione Europea”.

Se guardiamo all’Italia e alle denunce raccolte nel periodo 2004-2015, il dossier statistico immigrazione, del centro studi e ricerche IDOS, mostra che la percentuale di denunce da attribuire agli stranieri è rimasta costante intorno al 30% del totale delle denunce raccolte, che ha visto un incremento maggiore di denunce contro italiani che non contro stranieri. Entrando nel dettaglio delle denunce agli stranieri risulta che solo 7 paesi hanno un numero di denunce ogni 100.000 abitanti più alto rispetto a quello dell’Italia e sono: Lettonia, Francia, Liechtenstein, Germania, Austria, Lussemburgo e Finlandia. Nessuno di questi è un paese di provenienza di richiedenti asilo e rifugiati. L’Italia è quindi l’ottavo paese che più delinque in Italia e nei 18 paesi che già delinquono in Italia non vi figura nessun paese africano.

Gli stranieri ci rubano il lavoro

Dal dossier statistico immigrazione del centro studi e ricerche IDOS sappiamo che in Italia sono occupati 2.423.000 stranieri, pari al 10,5 % del totale dei lavoratori in Italia. Di questi solo il 7,2% svolge lavori qualificati come dirigenti, imprenditori e tecnici, mentre il restante 92,8% è diviso in parti più o meno uguali tra professioni non qualificati (34,4%), impiegati (30%) e artigiani o operai (28,4%). Un terzo dei lavoratori stranieri svolge poi lavori sottoqualificati, ovvero attività di livello inferiore rispetto alla qualifica, all’istruzione ricevuta e al livello di formazione registrato. Tra i lavoratori italiani la stessa situazione si ripete per 1 lavoratore su 5.

Che i lavoratori stranieri non siano in competizione con lavoratori italiani lo dimostra anche la settorialità nell’accesso al mercato del lavoro dove nelle mansioni di cura sono stranieri 7 lavoratori su 10, nelle attività di facchinaggio un terzo dei lavoratori è di provenienza straniera e nel commercio ambulante la metà. L’analisi del mercato del lavoro mostra quindi un’immagine dove gli italiani e gli stranieri non hanno accesso alle stesse posizioni lavorative.

Il dossier statistico immigrazione inoltre mette in luce come l’83,7 % dei lavoratori stranieri sia con contratto dipendente e analizzando la dichiarazione dei redditi 2017, anno imposta 2016 risulta che in media gli italiani guadagni circa 10.000 euro in più all’anno, con un reddito medio di 21.647 euro rispetto ai 12.016 dei colleghi stranieri. Il dossier “10 cose da sapere su migranti e immigrazione” a cura dell’Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale della Caritas Italiana mette i luce anche che il gettito Irpef degli stranieri è aumentato, negli anni 2010-2016 del 13,4%, mentre nello stesso periodo il gettito degli italiani è diminuito dell’1,6%, mostrando quindi come gli stranieri paghino le tasse e come il loro contributo sia sempre più importante per poter garantire le pensioni.

Aiutiamoli a casa loro!

Citiamo Il dossier “10 cose da sapere su migranti e immigrazione” a cura dell’Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale della Caritas Italiana: “Un’affermazione di questo tipo presuppone che l’emigrazione sia provocata dalla povertà. Ma gli immigrati non arrivano dai paesi più poveri del mondo e non sono i più poveri dei loro paesi: per emigrare occorre disporre di risorse. Questo vale anche per i rifugiati. I più poveri di norma fanno poca strada e non potrebbero farne di più. In secondo luogo, gli studi sull’argomento mostrano che, in una prima fase, lo sviluppo fa aumentare la propensione a emigrare, perché cresce il numero delle persone che dispongono delle risorse per partire. Le aspirazioni a un maggior benessere aumentano prima e più rapidamente delle opportunità locali di realizzarle. Solo in un secondo tempo le migrazioni rallentano, finché a un certo punto il fenomeno s’inverte: il raggiunto benessere fa sì che i paesi che in precedenza erano luoghi di origine di emigranti diventino luoghi di approdo di immigrati. Così è avvenuto in Italia, ma abbiamo impiegato un secolo a invertire il segno dei movimenti migratori, dalla prevalenza di quelli in uscita al primato di quelli in entrata.” primato nuovamente in dubbio vista la volontà di molti giovani italiani di cercare all’estero un’opportunità di lavoro giustamente qualificato anziché accontentarsi di un lavoro sottoqualificato in Italia.

Non sono poveri perchè hanno i cellulari

Nel mondo moderno il cellulare e lo smartphone in particolare è diventato un’indispensabile strumento di comunicazione di reperimento informazioni. In particolare per chi deve affrontare un viaggio lungo e pericoloso per informare a casa della propria salute e al contempo ricevere informazioni in tempo reale necessarie per il viaggio stesso, oltre che essere uno strumento in alcuni casi salva vita per chiamare soccorsi. Basta pensare all’uso che ne facciamo tutti i giorni per capire come lo smartphone non sia un vezzo, ma uno strumento necessario ed ecco perché il cellulare è un primo bene che le persone si portano dietro.

All’arrivo in Italia ai migranti viene data una ricarica per poter avvisare la famiglia di stare bene e nel caso in cui non avessero un cellulare non gli viene dato, ma ci sia assicura che si possano metter in contatto con le famiglie. Sarà poi la persona accolta a decidere se comprare o meno un cellulare utilizzando i proprio soldi.